Arturo Bernava, lo scrittore che ama esplorare.

Mi manca scrivere, scrivere romanzi simili a quelli che amo leggere.

 

Dopo tanto tempo  e la pubblicazione di svariati saggi, Arturo Bernava, è tornato alla stesura di un romanzo, intitolato “Le risate del mondo“, che ripercorre le turbolente vicende italiche a cavallo dell’armistizio del 1943.  

Amministratore del Gruppo Editoriale “Il Viandante – Chiaredizioni”, nonché scrittore di spessore e docente di scrittura creativa, ci ha spiegato che cosa sia per lui il talento.

 

Arturo, dopo tanto tempo ha deciso di tornare al romanzo, possiamo dire che le era mancato questo genere di scrittura?

"Sì, tantissimo. Io mi sono avvicinato al mondo editoriale grazie alla passione per la lettura, e scrivere è stato quasi naturale. Meno naturale è stato diventare editore, perché in questa veste sono necessarie altre doti e altre passioni. Per questo mi manca scrivere, scrivere romanzi simili a quelli che amo leggere."

 

Che cosa apprezza in particolar modo di un romanzo?

"La possibilità di viaggiare con la fantasia. Un romanzo (se ben scritto) può essere divulgativo quasi quanto un saggio, ma permette di esplorare mondi alternativi e di costruire ipotesi apparentemente astratte, eppure molto reali."

 

Quali sono quelli che hanno maggiormente caratterizzato la sua infanzia e la sua giovinezza?

"Ricordo ancora il primo libro che ho letto: “I ragazzi della via Paal”. A seguire “Cuore” e – incredibilmente – “Radici” di Alex Haley. Ma come non citare altri grandi classici, come tutti i romanzi di Dumas, di Verne e di Jack London? Al solo pensiero, ancora mi emoziono."

 

E oggi? Quali sono gli autori che preferisce maggiormente leggere?

"So che è un limite, ma leggo principalmente italiano, in generale tutta la “scuderia” Sellerio (cito tra i tanti Robecchi, Savatteri, Recami, Longo, ecc.), ma anche dell’ottimo noir con Dazieri, Carlotto e De Amicis. Ovviamente mi attraggono ancora Vitali e De Giovanni, sebbene apprezzi di più le loro prime produzioni."

 

Molte volte leggiamo che un autore non se la senta di definirsi scrittore, sostenendo che il secondo sia un ruolo che non spetta a tutti, la sua opinione a riguardo?

"Assolutamente d’accordo. Penso che non ci si possa definire scrittori per aver pubblicato un libro e averlo venduto o regalato a parenti e amici. Ritengo che ci si possa definire tali quando qualcuno che non conosciamo, fosse anche una sola persona, entra in libreria e acquista il nostro libro. In quel momento si crea un legame tale che rende l’autore uno scrittore, proprio perché legato ad un lettore che gli ha dato fiducia pur non conoscendolo."

 

Lei come per via del suo ruolo di amministratore del Gruppo Editoriale “Il Viandante – Chiaredizioni” avrà modo di leggere molti testi anche di persone che per la prima volta ne scrivono uno loro da proporre per la pubblicazione. E' veramente aumentata la richiesta di pubblicazione?

"Sì tantissimo. Pensi che in Italia (secondo i dati dell’associazione degli editori italiani), si pubblicano circa settantamila titoli l’anno, il 91% dei quali vendono meno di 100 copie. Mi chiedo spesso che senso abbia un simile meccanismo. Mi do anche delle risposte, ma preferisco tenerle per me. Noi riceviamo migliaia di pubblicazioni ogni anno, forse perché siamo una casa editrice non a pagamento, o forse perché gli autori apprezzano e si identificano con la nostra linea editoriale. Questa circostanza ci onora e gratifica, ma ci carica anche di una grande responsabilità."

 

Quando secondo uno scritto è degno per essere pubblicato?

"Intanto quando è scritto bene: sembra scontato, ma non lo è. Poi quando ha un’idea originale, ma semplice, qualcosa che attragga il lettore e gli faccia dire “cavolo, geniale, ma alla mia portata; come ho fatto a non pensarci?” E poi un testo, per essere pubblicabile, deve trasmettere al lettore le emozioni dell’autore; se un autore non prova emozioni nello scrivere un testo, come può sperare che il testo scritto risulti emozionante per il lettore?"

 

Le è mai capitato di non vedere del talento e poi di essersi ricreduto?

"Al momento no, ma mi aspetto che prima o poi accada. Come detto, riceviamo migliaia di manoscritti e la paura di non riconoscere un talento è sempre presente."

 

Ma che cosa significa possederlo?

"Significa attrarre in poche righe l’attenzione del lettore e non lasciarla sino alla fine. Ci sono dei libri (in parte degli autori che ho citato prima) che cominci a leggere e ti ritrovi a pagina 100 che sembrano passati pochi minuti. Ecco, libri così sono scritti da autori di talento."

 

E' facile confonderlo con il carisma?

"No, almeno per me; penso siano due cose completamente diverse. Purtroppo, non tutti riescono a distinguere le due doti e spesso si confondono, specie se la valutazione viene fatta da lettori distratti o, peggio, disinteressati. Molti editori (in particolare i grandi) pubblicano autori carismatici per vendere di più. Ma la differenza è evidente, te ne accorgi dalle prime righe."

 

Author

Laura Gorini

Addetto stampa per personaggi del mondo dello spettacolo, aziende, marchi e fiere. Scrittura, comunicazione e promozione.

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Giornalismo… che passione!

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